MACHINIMA. 32 conversazioni sull'arte del videogioco

A cura di Matteo Bittanti
Data di pubblicazione: 8 marzo 2017
Caratteristiche: copertina morbida, 158 pagine
Formato: 15×23 cm, 6x9 pollici
Lingua: Italiano
ISBN: 9781366258540
Prezzo: $15.99

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Edited by Matteo Bittanti
Release date: March 8, 2017
Features: Softcover, 158 pages
Format: 6×9 in, 15×23 cm
Language: Italian
ISBN: 9781366258540
Price: $15.99

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DESCRIZIONE

MACHINIMA. 32 Conversazioni sull’arte del videogioco propone una selezione ragionata di interviste realizzate tra il 2016 e il 2010 con artisti internazionali che utilizzano il videogioco come materia grezza per fare arte. Questi contributi  – tutti inediti per l’Italia – forniscono preziosi strumenti critici per illuminare un fenomeno artistico ibrido e mutante, generalmente frainteso, spesso sottovalutato, talvolta completamente ignorato dalla cosiddetta critica istituzionale, quello del machinima e dell’arte videoludica.

DESCRIPTION

MACHINIMA. 32 Conversations on the Art of Video Games is a unique collection of interviews with international artists using digital gaming to make art. Finally available in Italian, these conversations - that took place between 2016 and 2010 - chart a complex phenomenon, providing an essential set of resources for anybody interested in often overlooked, misunderstood or plainly ignored, artistic practices such as machinima and game art.

L’AUTORE

Matteo Bittanti è un un artista, scrittore, curatore, editore e accademico. La sua ricerca accademica verte principalmente sugli aspetti culturali, sociali e teorici delle tecnologie emergenti. Studia l'interazione tra la visual culture, l'arte contemporanea e i new media. Investiga, in particolare, il rapporto tra arte e videogame. Bittanti insegna media studies e arte digitale alla IULM di Milano, dove dirige anche unl Master of Arts in Game Design. Vive a San Francisco e a Milano.

TEASERS

THE AUTHOR

Matteo Bittanti is an artist, writer, curator, publisher, translator, and scholar. His academic research focuses on the cultural, social, and theoretical aspects of emerging technologies, with an emphasis on their effects on communication, visual culture, and the arts. He is particularly interested in new media art, especially Game Art. Bittanti teaches Media Studies and Digital Art at IULM University, in Milan, where he also in charge of the M.A. Program in Game Design. He lives in San Francisco and Milan.

MEDIA COVERAGE/RASSEGNA STAMPA

Marco Benoit Carbone, "MACHINIMA. 32 conversazioni sull'arte del videogioco", SegnoCinema 2016, 16 luglio 2017.

Andrea Peduzzi, "MACHINIMA. 32 conversazioni sull'arte del videogioco (con questa fanno 33: lascio?)", Outcast, 16 maggio 2017.

Massimo Rota, "Matteo Bittanti ci introduce a MACHINIMA. 32 Conversazioni sull’arte del videogioco", Duels, 2 aprile 2017. 

 

 

INTRODUZIONE

Questo libro propone una selezione ragionata di interviste con artisti internazionali che utilizzano il videogioco come materia grezza per fare arte. La maggior parte sono state realizzate nei primi mesi del 2016 dalle studentesse e dagli studenti iscritti alla Laurea Magistrale in Arti, patrimoni e mercati dell’Università IULM di Milano in occasione della mostra GAME VIDEO/ART.A SURVEY (4 aprile – 31 luglio 2016), a cura di Vincenzo Trione e del sottoscritto (1). A queste si aggiungono cinque contributi precedentementi apparsi in inglese su GameScenes.org firmati da Mathias Jansson (Rewell Altunaga, 2013 e Joseph DeLappe, 2010) e dal sottoscritto (Brent Watanabe, Benjamin Bardou e Les Riches Douaniers, 2016). Un ultimo contributo porta la firma di Sue Zemka, docente di letteratura inglese presso l’Università di Boulder in Colorado. La sua conversazione con Philip Solomon è stata pubblicata nel 2008 sulle pagine di English Language Notes (2).

Questi contributi – tutti inediti per l’Italia – forniscono preziosi strumenti critici per illuminare un fenomeno artistico ibrido e mutante, generalmente frainteso, spesso sottovalutato, talvolta completamente ignorato dalla cosiddetta critica istituzionale, l’arte videoludica e, nello specifico il machinima, Questo libro integra, espande ed arricchisce i saggi antologizzati in Machinima. Dal videogioco alla videoarte (2017), GAME VIDEO/ART. A SURVEY (2016) e Machinima! Teorie, pratiche, dialoghi (2013), offrendo un corpus di risorse per studiosi, curiosi e praticanti.

Nel contesto degli studi videoludici – altrimenti noti come game studies – le origini del machinima sono solitamente ricondotte alle pratiche di hacking di un gruppo ristretto di appassionati (Ng, 2013; Lowood & Nietsche, 2011). Ma come abbiamo già sottolineato altrove, questa mitopoiesi enfatizza, anzi feticizza la dimensione squisitamente tecnoludica del medium, relegando il machinima alla sfera del fandom. Inoltre, essa ignora una storia parallela, parimenti importante, che ha come protagonisti non i giocatori, bensì artisti come Miltos Manetas, Cory Arcangel, Brody Condon, Eddo Stern e molti altri che a partire dalla seconda metà degli anni Novanta hanno avviato un’innovativa sperimentazione. Le attività di questi artisti rappresentano delle “anomalie” che, per usare il linguaggio di Thomas Kuhn (1962), mettono in crisi il paradigma interpretativo dominante. La ricerca sul campo dei praticanti si è tradotta in una vasta produzione che include, tra le altre cose, video, performance, sculture, installazioni, fotografie, modifiche di videogiochi e art games. Sotto questa luce, il machinima è considerato un genere di videoarte che si colloca in una tradizione – quella della new media art (3) – precedente all’avvento del videogioco. La differenza fondamentale tra il machinima videoludico e il machinima artistico è ravvisabile nelle intenzioni dei rispettivi produttori. Semplificando, si potrebbe affermare che i giocatori giocano ai videogiochi, laddove gli artisti giocano con (spesso contro) i videogiochi. Gli artisti violano deliberatamente le regole e il funzionamento del videogioco, sovvertendo tanto le modalità d’uso previste quanto l’ideologia che essi veicolano. Laddove il machinima videoludico svolge una funzione promozionale, quello artistico si pone spesso in posizione critica, oppositiva.

Nel paradigma interpretativo “artistico”, la genesi del machinima è ricondotta al 1996, quando il critico e curatore francese Nicolas Bourriaud presenta l’opera di Miltos Manetas Miracle in una mostra collettiva intitolata Joint Ventures alla Basilico Gallery di New York. Per l’occasione, Manetas aveva registrato alcune sequenze del simulatore di volo per Macintosh F/A 18 Hornet, trasferendole successivamente su DVD e proiettandole in loop. Il video mostra un jet da combattimento che scivola sull’acqua invece di affondare nell’oceano. È lo stesso Manetas a descrivere le origini del progetto in queste pagine. La disarmante semplicità del suo gesto appropriativo non ne sminuisce in alcun modo la sottesa genialità concettuale. Miracle non è riducibile a un readymade duchampiano, objet–trouvé o found footage perché la sua produzione e presentazione hanno richiesto un considerevole sforzo trasformativo da parte dell’artista.

En passant, si potrebbe far notare che Miracle non è il primo esempio di appropriazione di un videogioco in forma audiovisiva. Tra i predecessori spicca Wild Gunman (1978), un video del regista sperimentale Craig Baldwin che incorpora, tra le altre cose, alcune sequenze tratte dall’omonimo videogioco da sala progettato da Gunpei Yokoi e distribuito nel 1974 da Nintendo4. Con Wild Gunman, Baldwin decostruisce l’ideologia della mascolinità negli Stati Uniti, il mito del West e l’imperialismo culturale statunitense appropriandosi e rimontando sequenze tratte da film, cartoni animati, pubblicità, telefilm e riprese televisive, oltre ai videogiochi. Ma all’interno del video che ha una durata di poco inferiore ai venti minuti, il coin–op Nintendo è trattato come un elemento tra i tanti, laddove Manetas, con Miracle, ne aveva tematizzato la peculiare estetica. Nei primi tre minuti, Baldwin rallenta, ingrandisce, ripete e distorce alcune immagini di Wild Gunman. Una breve sequenza tratta da un secondo arcade, lo sparatutto bidimensionale monocromatico Gun Fight (Midway, 1975), fa capolino attorno al decimo minuto.

Dopo la fase pionieristica (1996-2006), il machinima in quanto genere dotato di un proprio statuto, estetica, convenzioni e stili si evolve nella decade successiva, sviluppandosi in modo autonomo e originale nel contesto artistico anziché in quello propriamente ludico. Gli sforzi di artisti internazionali, geograficamente dispersi ma collegati in rete, variano nella forma e nei contenuti, oscillando tra il film sperimentale e la videoarte, l’installazione e il microcinema. Lo sviluppo del machinima è stato reso possibile dalla diffusione di tecnologie videoludiche a basso costo, console e personal computer in primis. Questo fenomeno è paragonabile all’introduzione sul mercato di macchine da presa leggere, a basso costo, nella seconda metà degli anni Sessanta, che ha fornito a pionieri come Nam June Paik e Andy Warhol nuovi strumenti per fare arte (Elwess, 2015; Jennings, 2015; Meigh-Andrews, 2013; Ress, 2011; Spielmann, 2008). Si potrebbe infatti paragonare la seminale serie di Miltos Manetas, Videos After Videogames (1996–2002) – in gran parte realizzata con una console Sony PlayStation 2 – alle opere che Paik aveva realizzato con la cinepresa Sony Portapak tre decenni prima.

Il machinima è una pratica e un prodotto identificati da un prefisso, “ri”, che esprime tanto una novità quanto una ripetizione. Si tratta, infatti, di un rilancio e di un riciclo, di una ricreazione e di una ricostruzione, di una rianimazione e di una rigenerazione. Fare machinima significa praticare l’interdisciplinarietà, integrando un ventaglio di media differenti sotto l’ombrello del digitale. Il machinima è legato a tattiche come l’appropriazione, la manipolazione e la sovversione – dal détournement al culture jamming – di artefatti esistenti. Il suo statuto è paradossale. Da un lato è una forma espressiva parassitaria: non potrebbe esistere senza il testo sorgente – il videogioco – da cui la definizione di “opera derivata” usata nel contesto legale, specie in relazione alla legislazione in materia di proprietà intellettuale. Inoltre, è una rimediazione multimediale che sussume il cinema, il video, la fotografia, ma anche il disegno, la pittura, l’animazione, la simulazione, la computer grafica e il teatro. Come tale, è un’espressione ricombinante.

D’altra parte, il machinima è un artefatto inedito: conserva alcuni elementi del testo originale, ma al tempo stesso introduce significati inediti, ma soprattutto, nuovi ambienti, in senso mcluhaniano. Abbiamo tentato è di portare in primo piano queste contraddizioni, per sottolineare gli aspetti di continuità e contiguità, frattura e rottura, tra il machinima ed altre espressioni artistiche di natura audiovisiva. Abbiamo posto agli artisti una serie di domande sulla natura del machinima – dall’estetica all’uso dell’appropriazione, fino all’uso del videogioco per fini artistici – la loro formazione nonché le influenze dirette o indirette. Il risultato è un mosaico di teorie in nuce unico nel suo genere, che mette in luce gli aspetti peculiari di una pratica creativa sorprendentemente complessa. A livello di titolazione, l’omaggio al celebre film di Francois Girard, Thirty Two Short Films About Glenn Gould (1993), è esplicito. Nell’impossibilità di offrire un ritratto completo ed esaustivo del celebre pianista, Girard ha preferito fornire frammenti e suggestioni. Parimenti, le trentadue conversazioni (5) che compongono questo libro forniscono ipotesi, tesi e idee – talvolta dissonanti – sull’arte del machinima.

Buona lettura.


 

Bibliografia

Bittanti, Matteo (A cura di). Machinima. Dal videogioco alla videoarte, Milano, Mimesis Edizioni, 2017.

Bittanti, Matteo e Trione, Vincenzo (A cura di). GAME VIDEO/ART. A SURVEY, Milano, Silvana Editoriale, 2016.

Bittanti, Matteo e Lowood, Henry (A cura di). Machinima! Teorie, pratiche, dialoghi, Milano, Edizioni Unicopli, 2013.

Dragona, Daphne. “Harun Farocki Interview – Serious Games In Samos", Neural, novembre 2012. [ultimo accesso: 25 /12/2016]

Elwess, Catherine. Installation and the Moving Image, New York, Columbia University Press, 2015.

Khun, S. Thomas. La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 2009. [1962]

Jennings, Gabrielle. Abstract Video: The Moving Image in Contemporary Art, Berkeley, University of California Press, 2015.

Lowood, Henry & Nietsche, Michael (Eds.). The Machinima Reader, Cambridge, Massachusetts, MIT Press, 2011.

Meigh-Andrews, Chris. A History of Video Art, New York, Bloomsbury Academic, 2013.

Ng, Jenna (Ed.). Understanding Machinima, New York, Bloomsbury Academic, 2013.

Ress, L.R.. A History of Experimental Film and Video, New York, Palgrave Macmillan, 2011.

Spielmann, Yvonne. Video: The Reflexive Medium, Cambridge, Massachusetts, MIT Press, 2008.

Tribe, Mark e Jana, Reena. New Media Art, Introduction, Roma, Taschen, 2007.

 

Note

1. Nello specifico: Sara Agostinelli (ideazione, realizzazione, sbobinatura, montaggio, editing), Cosimo Ardovini (ideazione, sbobinatura), Marina Barello (realizzazione, traduzione), Paolo Maria Bonora (ideazione, realizzazione, sbobinatura, revisione, editing), Irene Sofia Comi (ideazione, sbobinatura, revisione, editing), Camilla Crescini (ideazione), Vincenzo Di Rosa (ideazione), Gemma Fantacci (ideazione, revisione, editing), Elisabetta Ghezzi (ideazione, realizzazione, sbobinatura), Alessandra Levratti (realizzazione, traduzione), Virginia Lupo (ideazione, realizzazione, sbobinatura, revisione, editing), Mariacristina Maffeo (montaggio, editing), Alessandra Passaretti (ideazione), Carolina Sanchez (ideazione, revisione, editing) e Pietro Somaini (ideazione).

2. Le traduzioni in italiano delle interviste a Rewell Altunaga, Benjamin Bardou, Ashley Blackman, Joseph DeLappe, Les Riches Douaniers, Tom Richardson, Philip Solomon e Brent Watanabe sono state realizzate da Matteo Bittanti.

3. Cfr. Mark Tribe e Reena Jana, New Media Art. Introduction. Taschen, Rome, 2007.

4. Coin–op arcade di tipo elettromeccanico, Wild Gunman era composto da una pistola ottica connessa a un proiettore su schermo da 16 mm. Le sequenze in full motion video di un pistolero del far west erano videoproiettate su uno schermo. Quando i suoi occhi lampeggiavano, il giocatore doveva estrarre l’arma e sparare. Se il giocatore era abbastanza veloce, l’immagine mostrava il pistolero che crollava al suolo, colpito mortalmente; in caso contrario, il pistolero estraeva la sua rivoltella e sparava un colpo all’indirizzo del giocatore. Eliminando l’avversario, l’utente avrebbe fronteggiato in sequenza altri pistoleri.